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Iron Punch
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_Michel_.
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Ultimamente avevo iniziato a notare tutte le piccole ammaccature che la mia armatura presentava, era strano davvero. La prima volta che l’avevo presa in mano era nuova e lucente, ora, sembrava davvero essere arrivata quasi ad un limite, sembrava sempre più opaca, sebbene durante i combattimenti risplendesse come la luce del sole. Oggi, non era una di quelle giornate.
Eppure il tutto, nella sua complessità era iniziato qualche tempo prima. Mi ritrovavo come mio solito a girare per le vie della città, sempre furtivo, ma ultimamente più scoperto, in fondo se una persona doveva andare a fare delle compere, mica poteva rubare gli oggetti dai negozi. Entrandoci si ascoltavano le solite chiacchere, quelle tipiche tra persone che non si incontrano da molto tempo e si trovano per caso, quelle di chi è venuto li in coppia, e molte altre. Eppure nessuna di queste era giunta a me come un qualcosa di stuzzicante e nuovo, che poteva attirare la mia attenzione in modo massiccio.
Mi trovavo poi a vagare per le vie più strette, sopra i cornicioni dei primi piani, sopra i negozi, furtivo come mio solito era essere, fino a quando una strana voce proveniente da un uomo mi colse impreparato. Ero davvero stranito da quell’informazione. E il pensiero che ultimamente era nato dentro di me e che riguardava l’armatura mi faceva fare strani collegamenti l’uno con l’altro. Non riuscivo a trovare informazioni decenti sul luogo che l’uomo aveva descritto, ma certamente non mi sarei dato per vinto. Non c’era nulla nella storia del mondo che non fosse contenuto nella nostra biblioteca, così consultai i fascicoli su quel posto dal nome così impronunciabile da essere simile ad un improprio.
Notizie confuse su cosa realmente accadesse la dentro giungevano da ogni parte, e se uno doveva ascoltare, tanto valeva farlo bene. Cercai incessantemente e tra bazzecole e mezze verità, sembrava che qualcosa di positivo e veritiero stesse venendo finalmente fuori. Una strana voce, ancora più particolare girava tra le altre, quella di un uomo, una persona, un qualcuno in grado praticamente di fare di tutto con le sue mani. Forse, e forse pensavo, anche di poter riparare la mia armatura se ne fosse stato capace e non mi avesse creato storie.
In realtà, mi ero anche reso conto della mia necessità di sapere di più sulla storia della mia armatura e cercai di capire chi fossero stati i precedenti proprietari, e sopra ogni cosa, di come ci si doveva prendere cura della stessa in maniera tale da non dover ripetere gli errori presenti e magari, riuscire a rattoppare qua e la dove ce ne fosse stato bisogno.
Lasciai una nota di avviso al mio capitano, dove lo avvertivo che dovevo partire per poter far riparare la mia armatura, gravemente danneggiata dalle scorse battaglie e da tanto lavoro.
La mia destinazione era praticamente a me un luogo sconosciuto e mai sentito prima, ma la Volpetta è capace di sostenere lunghi viaggi, e quindi, armatura in spalla nella sua grande scatola bronzea, partii.
Il viaggio in per se non durò tanto, l’agilità che avevo pazientemente costruito negli anni di addestramento e nelle battaglie mi permetteva di muovermi più velocemente di un qualsiasi essere umano, praticamente senza consumare cosmo, e di arrivare, nel giro di qualche giorno in questo paese, meta del mio viaggio.
Stranamente nessuno mi accolse bene come speravo, molti mi ridevano in faccia quando chiedevo di questa persona, come se forse non fossi stato in grado di comprendere ciò che dicevo, eppure non mi diedi per vinto. Doveva esserci chiaramente un modo per arrivare da questa persona, e probabilmente, come al solito lo avrei trovato nel posto che mi avrebbe fatto cadere la mascella dalla bocca per lo stupore della mia scoperta.
Entrai per curiosità, e soprattutto sete in un bar dal nome ancora più strano di quello che aveva la città, e mi diressi al bancone tentando un approccio con l’oste, al quale dissi scherzosamente:
una pinta di birra oste, e una persona che da queste parti si dice essere quasi onnisciente.
E li aspettai la sua risposta, mentre mi sedevo di agli sgabelli del bancone principale.. -
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_Michel_.
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L’oste sembrava non aver prestato particolarmente attenzione alla mia domanda.
“un altro buco nell’acqua” pensai. Erano giorni che oramai cercavo e nulla sembrava essere ancora saltato fuori. Sembrava che l’oste non avesse nemmeno sentito la mia domanda e la mia richiesta di una buona birra.
Si presentò dopo qualche minuto, avvicinandosi al tavolo con il suo passo deciso, non era spaventato dal mio aspetto senza maschera. Chissà cosa aveva visto durante la sua vita. Si avvicinò fino a quando un rumore sordo non mi indicò che la mia pinta di birra era arrivata. Me la allungò come solo un vero oste sa fare, poi qualcosa lo turbò.
Avevo poggiato la mia armatura nella scatola, accuratamente coperta per non essere identificabile, vicino a me, e speravo che nessuno l’avesse notata.
Aveva poi iniziato a parlare, dicendo che era difficile capire chi cercassi, che forse esisteva qualcuno a cui potevo rivolgermi, ma che molti nella città sono solo dei ciarlatani. Il suo lavoro lo teneva occupato, e mentre parlava con me capivo che manteneva un occhio vigile sui clienti, e sulle sue cameriere che a quanto sentivo dai commenti dovevano essere molto attraenti. Riprese immediatamente la sua frase dicendo che forse, e ammetteva il forse, che un uomo c’era, qualcuno che sembrava essergli balenato in mente. Mi disse che potevo rivolgermi all’ Iron Forge, un luogo dove avrei avuto una minima possibilità di ottenere ciò che volevo in quella città delle meraviglie e cialtronerie.
Si scusò educatamente per andare a servire degli altri clienti.
beh, grazie comunque per l’aiuto, è stato prezioso. E gli sorrisi.
Mi aveva ancora lasciato detto che avrei potuto rivolgermi ad una delle cameriere se avevo bisogno di qualsiasi cosa, e che per il pagamento sarebbe bastato darlo a loro.
Ero combattuto su quello che l’oste aveva detto. Era vero che avevo ricevuto davvero poche notizie su quello di cui avevo bisogno, e che un indizio del genere mi aveva fatto solo che comodo, ma sinceramente ancora non sapevo se fidarmi completamente dell’oste anche se mi pareva davvero un’ottima persona.
Capivo anche, d’altra parte che la mia armatura aveva bisogno di riparazioni urgenti, e che non avrebbe mai resistito ad un’altra battaglia contro un qualsiasi nemico dotato di cosmo e con Morte in giro era sempre più difficile evitare di imbattersi in specter e altri esseri del genere.
Tenni il boccale tra le mani, appoggiato al tavolo, cercando di comprendere cosa fosse meglio fare in quel frangente. Potevo rimanere li ed aspettare, “si, ma aspettare cosa ?” pensai.
“C’è qualcosa che non quadra, sembra come che l’oste conosca il proprietario o la proprietaria dell’Iron Forge e che sappia di cosa sia capace.”
Ma forse, forse, stavo davvero pensando troppo e dandomi troppa pena per una cosa come quella. Eppure ancora addosso avevo quella strana sensazione, come se non se ne volesse andare. Così chiamai un cameriera, dai rumori che il suo vestito emetteva, doveva essere lungo e raffinato, e rispose con una voce abbastanza squillante, ma molto molto dolce e gioviale. Si mi dica di cosa ha bisogno ?
Può portarmi un’altra pinta per piacere, e a proposito, questo è per lei, tenga il resto. Le allungai un poco di soldi che avevo, in fondo mi avrebbe fatto comodo, magari dopo fare conto su un possibile aiuto, e poi era stata così gentile e celere ad arrivare che mi era sembrato logico ripagarla di quello.
Era ritornata celermente, e a quanto sembrava aveva ancora un più grosso sorriso sulle labbra. Poco sfuggiva ai miei sensi sviluppati, e le emozioni delle persone, erano semplici da capire, non quelle di tutti ovviamente, ma almeno della maggior parte.
Ancora nella mia mente passavano, mentre sorseggiavo la mia nuova pinta di birra, strani pensieri, tanto che nemmeno il tempo di quella sembrava averli calmati. Troppi quesiti su chi stavo cercando e su cosa in questo determinato momento mi conveniva fare.
Finii quindi la mia seconda pinta di birra, e sul procinto di fermare nuovamente la cameriera per ordinarle qualcosa da mangiare mi fermai. In fondo, non avrei digerito lo spuntino con tutti quei pensieri che mi balenavano per la testa. La chiamai comunque e le chiesi gentilmente la strada per l’ Iron Forge, e lei mi rispose tranquillamente, dicendomi esattamente dove si trovasse nella città e che strade mi conveniva prendere per arrivarci in tempo utile, poi andò a servire un altro cliente. Così mi alzai, mi rimisi la maschera ed il mantello, e la scatola dell’armatura in spalla. Salutai prima in direzione dell’oste e aggiunsi:
Grazie per la dritta, alla prossima
Poi alzai la mano in saluto verso la cameriera, della quale avevo appena colto il nome, Gigì, un nome francese, che sinceramente le si addiceva molto. Aprì la porta del locale ed uscì, verso la città delle meraviglie, quasi alla fine del mondo.
L’Iron Forge si trovava defilato rispetto a tutti gli altri negozi che sembravano riempire totalmente la città, come se fosse una vera fabbrica in continua evoluzione. Ci volle una bella mezz’ora per poterci arrivare a passo tranquillo ed evitando le strade più trafficate. Girai alcune volte a destra e a sinistra, poi su per una salita leggera, e li a sinistra, subito in una piccola piazzetta, l’insegna dettava la presenza del luogo di cui mi era stato parlato. Ero arrivato, e mi avvicinai alla porta per bussare.. -
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_Michel_.
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Ero arrivato li, e avevo cercato la porta, camminando lentamente vicino al muro.
Ne notai la rientranza sotto le dita e quasi in automatico cercai la maniglia della porta. Non c’era.
Provai l’altro lato e mi accorsi che in realtà la porta era aperta, non tanto, leggermente, quello che bastava a poterci far passare un piede, per quello che avevo potuto capire. La spinsi leggermente per far si che anche io potessi entrare, ma non volevo spalancarla del tutto e far entrare la luce in quel posto che per come si presentava probabilmente era semibuio.
Rumori ritmici e metallici provenivano da dentro, quindi come il nome suggeriva, questa era davvero una forgia. Una forgia era quello che la mia armatura necessitava, ma non credevo di poter trovare completamente ciò che cercavo in una forgia normale, dove una persona normale poteva tranquillamente far fabbricare qualcosa. I rumori smisero, mentre ancora nella mia testa decidevo se fosse il caso di entrare o rimanere li fuori ed aspettare che l’opera fosse completata.
Entrai, leggermente, piano piano, tastando con un bastone che portavo sempre con me le cose, in maniera da supplire alla vista e utilizzai leggermente il mio cosmo per capire esattamente dove mi trovavo, quanto era grande l’ambiente e cosa c’era li dentro.
Mi fermai vicino alla porta, chiudendola come prima cercando di non fare rumore. Era strano l’ambiente, così grande eppure così silenzioso.
Espansi leggermente prima il cosmo verso la fonte di calore che veniva sprigionata dalla fornace, era grande, davvero grande, alta più di due metri, e larga almeno due metri e mezzo e il calore emanato era fortissimo, almeno doveva esserlo per chi vi ci trovasse a breve distanza.
Lentamente iniziai ad arrivare agli altri oggetti, molti li riconobbi subito, come alcuni grossi tavoli di legno e le sedie. Erano tutte piene di oggetti strani, che non seppi definire con precisione, ma ovviamente alcuni di questi dovevano essere assolutamente armi e scudi e armature, mentre altri ancora sembravano essere oggetti fatti di materiali diversi dal metallo, come la stoffa e similari. Erano davvero interessanti quelle creazioni. Il cosmo che si era espanso nel terreno mi aveva fatto intendere che la stanza era grande, parecchio grande e che era occupata soprattutto da materiale da lavoro, attrezzi, oggetti finiti, e che in fondo vi era l’accesso ad altre stanze, forse quelle private del fabbro.
Annusai l’aria da dietro la maschera, inspirando tutti gli odori che vi erano all’interno della forgia. Erano composti da metallo, stoffa, sudore, carbone bruciato, legna, mattone; e tutti quanti avevano un aroma di pungente, stranamente tutti erano impregnati di un odore che non sembrava nemmeno appartenere ad un posto del genere. Ma ancora non avevo capito a chi appartenesse.
E ancora il martello risuonava continuo e preciso, e ogni martellata aveva il suo suono distinto. Preciso, puntuale e mai a vuoto. Iniziavo a comprendere perché l’oste me ne avesse parlato con così grande premura e soprattutto che me la avesse indicata come un posto interessante.
Buongiorno signorina, mi scuso per il disturbo mi levai il mantello che mi copriva il volto e tenni solo la mezza maschera che non mi copriva la bocca. Sto cercando chi dirige la forgia, avrei un incarico per questa persona e non ho problemi per il pagamento, sono disposto anche a lavorare per voi per il tempo necessario a ripagarvi.
Aspettai la sua risposta, o comunque un cenno, non volli mettergli fretta. Mi sedetti su di un piccolo sgabello a lato della porta e misi la cassa dell’armatura dandoci due leggere pacche sopra come se indicassi che quella era la natura del lavoro.. -
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_Michel_.
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No, non ho minimamente problema con lei, d’altronde io non posso giudicare le persone per il loro aspetto, visto che sono cieco. Sono venuto qui perché un oste, mi ha detto che lei è la migliore se si cercano lavori particolari. E quindi ecco perché sono da lei.
Levai totalmente la mia maschera in maniera da mostrarle che quello che le dicevo era vero. Non avevo mai avuto problemi ne con donne ne con uomini, non mi interessava sinceramente chi faceva il lavoro. Avevo solo bisogno che fosse fatto, velocemente e da mani esperte. Sebbene fossi leggermente in ansia per il comportamento scorbutico della padrona, avevo risposto alle sue parole con un tono molto calmo e semplice, e formale, cercando di mostrarle le mie migliori intenzioni.
La questione era semplice, ma era forse meglio mostrarle in toto il lavoro che doveva essere svolto. A qualunque prezzo. Avanzò verso di me, sentivo il fruscio dei suoi passo sul pavimento del negozio e dall’atteggiamento era certamente molto irritata e forse anche irritabile. Ma non potevo andarmene da li senza aver fatto riparare l’armatura o perlomeno aver imparato come fare. L’energia che quella ragazza sprigionava era portentosa e il mio cosmo poteva sentirla, così semplicemente mi feci guidare dallo stesso per trovare il viso della ragazza per poter essere faccia a faccia e le dissi:
Ho bisogno di far riparare la mia armatura, dopo numerosi combattimenti si sta rompendo e non vorrei che subisse altri danni. Se fosse possibile vorrei assistere al lavoro ed imparare come ripararla, da noi non c’è un fabbro che faccia questi lavori.
Mi fermai per un momento prima di rispondere nuovamente, e aggiunsi:
Necessito davvero del suo aiuto, non me lo neghi, farò tutto il possibile per ripagarle il lavoro
Sebbene non volesse sembrare una supplica, utilizzai un tono più gentile rispetto a quello di prima e chinai leggermente il capo in rispetto sincero per il lavoro che lei faceva, soprattutto come donna, quindi, aprii la cassa e le lasciai giudicare il lavoro da fare.
L’armatura di bronzo della Volpetta venne svelata, ricoperta di ammaccature e graffi e taglie incrinature. Sapevo di non aver capito la sua importanza finchè non avevo notato tutti quei difetti, e solo allora mi ero davvero deciso a portarla a fare riparare. Speravo con tutto cuore che lei accettasse la mia offerta, doveva accettarla, in fondo non tutti giorni un pezzo del genere entrava nella propria forgia.
In trepida attesa aspettai una risposta positiva, un’insulto, un’esclamazione della ragazza, o meglio del fabbro che avrebbe potuto salvare la mia armatura.. -
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La proprietaria dell’Iron Forge mi aveva risposto con fare saccente e presuntuoso, avevo capito dal suo tono di voce che aveva utilizzato, che aveva perso qualcuno di importante durante l'apocalisse, eppure nemmeno io ero stato da meno. Mi ero alzato in piedi e mi ero avvicinato a lei; sentì il calore della fornace ad illuminarmi il viso, e rendere visibili le profonde cicatrici da bruciature che lo segnavano.
Il mio cosmo si espanse di rabbia e l’armatura della Volpetta iniziò a muoversi e ad emettere uno strano suono, e mi girai verso di lei. Negli ultimi tempi lo faceva, produceva rumori e suoni, ma non sempre ma solo in determinate occasioni, come se volesse in qualche modo dirmi qualcosa di importante.
Come se l'armatura volesse dirmi di non farle del male, che anche lei come tutti noi, aveva perso una fetta di se stessa durante l'apocalisse. Mi voltai poi nuovamente verso il fabbro e le parlai con voce calma e sottile e le dissi :
Non so cosa sia stata l'apocalisse per te, ma tu non giudicare se non sai cosa hanno passato gli altri.
E dopo essermi calmato un pò nei pochi secondi trascorsi aggiunsi :
Accetto l‘offerta, dimmi cosa devo fare.
Ora forse aveva capito di non essere l’unica ad aver sofferto durante L’apocalisse , forse dentro di sé, aveva compreso di non essere stata la sola, ad aver perso qualcuno. Ma anche io avevo perso qualcuno, non uno solo, ma a centinaia e ne portavo spesso ancora le colpe dentro.
Sentivo il suo viso osservarmi, ma il suo sguardo non ttasmetteva. alcuna espressione e nemmeno alcun tipo di emozione. Così come avevo l'impressione di trovarmi diffronte ad un cuore ed un anima rinchiusa nel proprio dolore ed incapace di uscirne.
Avevo perso tutto pure io, mi avvicinai a lei in piedi e senza la maschera sul viso, mi aveva fatto arrabbiare, si era permessa di dire che non potevo capire cosa aveva passato, aggiunse che noi cavalieri non avevamo fatto abbastanza e non c’eravamo impegnati al massimo, che non avevamo perso quanto ebbe perso lei, che eravamo dei guerrafondai e che, le uniche cosa che sapevamo portare non era la pace, ma solo guerra e distruzione, ma non aveva la ben che minima idea di quello e di quanto avevamo sofferto noi …
Non volevo parlargli con quelle dure parole nei suoi confronti, non volevo mancarle di rispetto in alcun modo, ma purtroppo mi aveva fatto arrabbiare e, anche parecchio. Avrei fatto il lavoro comunque, avevo bisogno della mia Armatura ad ogni costo … e non avrei più proferito parola fino alla fine del mio compito. -
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Presi la mappa dalle mani della fabbro e uscì fuori dalla porte annuendo alle sue affermazioni.
Mi diressi verso il centro città, avevo bisogno di un carro per trasportare la diorite che sarebbe servita per riparare la mia armatura. Ne avrei portata così tanta da fare invidia a quella donna.
La città era rumorosa e io avvolto nel mio mantello tenni stretta il borsello che aveva i soldi necessari alle operazioni che volevo fare.
Mi ero rimesso la maschera addosso, non volevo che nessuno in più venisse a conoscenza del mio segreto.
Prima mi diressi da un negoziante di attrezzi ed entrai aprendo lentamente la porta.
Buongiorno mastro, sto cercando il piccone più duro che hai, e poi un’indicazione.
Il vecchio che uscì dal retro mi scrutò con aria stranita e con voce stridula mi disse:
ragazzo, il mio miglior piccone costa molto, ma sarò lieto di vendertelo se la tua domanda sull'indicazione mi piacerà.
Lui non potè vederlo, ma i sopraccigli mi si alzarono, quel uomo mi piaceva, e forse avevo trovato qualcuno che mi dicesse qualcosa di interessante.
E’ semplice buon uomo, voglio sapere che pericoli ci sono nella caverna di diorite.
Gli apri la mappa e gliela indicai.
Potei sentire il suo stupore quando dalla sua bocca uscii un ooooh
E poi essere seguito da:
Sei passato dall’iron forge, vedo, solo lei ha questa mappa.
Posò un piccone preso da sotto il bancone e mi disse:
tienilo ragazzo, però in cambio voglio un pezzo di diorite, mi serve per una cosa personale
Presi le mani del vecchio tra le mie e gli dissi:
Bene, affare concluso mastro.
Mi strinse le mani e poi mi chiese:
come farai a portare la diorite ragazzo ? avrai bisogno di carro e mulo eheheheh
Ha ragione, ma sinceramente non so dove trovarlo, era questa la mia seconda domanda che ti avrei fatto dopo, ma prima necessito di sapere i pericoli.
ah si si, i pericoli. Beh in realtà a quanto ne so c’è una banda di malviventi da quelle parti, qualche leone di montagna e l’interno della grotta è popolata si dice sia diventata la tana di un’orso gigante. Se poi c’è qualche trappola al suo interno non ne ho idea.
Bene, mi aspetta un bel viaggetto allora. Puoi fornirmi tu il carro e il mulo ? oppure sai dove mandarmi ?
La sua voce stridula oramai era noiosa, ma l’unica cosa che davvero mi preoccupava era riuscire a trovare quello che cercavo in maniera fluida e continua, evitando di perdere molto tempo. L’armatura della volpetta aveva la necessità di essere riparata e io di apprendere le tecniche per poterlo fare, non solo per me ma per tutto il grande tempio.
Ebbi appena il tempo di formulare questo pensiero che il vecchio mi disse:
Vai dal mio vicino a destra, ha un carro ed un mulo che non usa, digli che ti mando io, e ora vai e mantieni la tua promessa, ragazzo
Annui con la testa ed uscì dal negozio con il piccone in spalla.
Andai dal vicino che lui mi aveva indicato e mi prestò il carro e il mulo.
Iniziai il viaggio verso la caverna di diorite.
Uscì dalla città.
Mi diressi a nord.
Arrivai all’inizio del sentiero che portava verso le colline dove le caverne erano poste e sentivo uno sguardo che mi scrutava dall’alto, ero dunque preso di mira da qualcuno, forse la stessa banda di malviventi di cui mi aveva parlato il vecchio, ma lasciai perdere per il momento, non volevo attaccare briga con quegli stupidi. Anche senza armatura ero più forte di loro, eppure non avrei versato una sola goccia del loro sangue se non fosse stato un caso iper-necessario.
Continuai sulla mia strada imperterrito.
Arrivai all’entrata della grotta senza alcun problema.
Il loro scopo era dunque prendere la diorite quando sarei uscito con il carrello che mi avrebbe aiutato a portarlo fuori dalla grotta stessa.
La cava al suo interno era gigante, supportata da pali e travi di legno e ferro che la tenevano in piedi e creavano un’architettura spettacolare.
Un primo ostacolo che mi si prefissò fu quello di riparare appunto il carrello che mi avrebbe aiutato a portare fino al carro la merce che mi serviva. Trovai il materiale fortunatamente li vicino. La miniera era comunque abbandonata e si vedeva. Chissà cosa mi aspettava davvero in fondo a quella cava.
Mi ci volle un’ora buona prima di riuscire ad estrarre la ruota rotta e a cambiarla e fissarla in maniera nuova e sicura.
Feci partire il collegamento a cavo e ingranaggi che mi avrebbe portato fino in fondo, o almeno fino ad un certo punto, dove gli uomini si erano interrotti nei loro scavi.
Ci volle un bel po’ prima di arrivare all’ultimo punto dove il carrello si bloccò.
Scesi, mi rimisi il piccone in spalla e raccolsi una carriola che li era poggiata contro il muro.
Ci infilai il piccone all’interno e continuai a scendere.
Scesi, scesi ancora, fino a che un fosso non mi separava dal filone che stavo cercando.
Come arrivarci era da quel momento diventato il mio principale problema.
Una stradina scendeva alla mia sinistra, e per non essere costretto a tornare indietro la presi.
“eh che cavolo, oggi tutte, a me, prima il fabbro con problemi di aggressività repressa, poi il vecchietto strambo, ora ci si mette pure questa stupida cava. Ci manca solo che incontro un orso arrabbiato.”
Scesi ancora, e l’aria piano piano iniziava a farsi pesante.
Arrivato al piano ancora inferiore ritrovai dell’altra architettura che sosteneva, quindi mi concentrai in quella zona.
Piano piano tastai la roccia e con una serie di lampade ad olio illuminai la stanza.
Iniziai a picchiare contro la parete, ma il piccone a mala pena la scalfiva.
Andai avanti ancora a questa maniera e in più di un’ora non avevo nemmeno riempito mezza carriola, il che mi rese abbastanza nervoso.
Così misi il piccone nella carriola e caricai il cosmo. Nuova forza scorse nei miei muscoli e iniziai a picchiare contro il muro, la roccia si continuava a frantumare, a ritmo maggiore di prima.
Un rumore mi fece sussultare dietro di me mentre caricavo la carriola per la seconda volta e mi apprestavo a portarla al carrello.
Due occhi rossi si presentarono di fronte a me e istintivamente mi misi in posizione di guardia, la belva ruggì.
Poi si avvicinò, mi annusò e ruggì ancora.
Innalzai il cosmo e l’immagine della costellazione della Volpetta ruggì dietro di me.
L’orso inietreggiò.
Bravo bello, così vai indietro, non fermarti, lasciami stare, oggi non è giornata per venirmi a rompere le scatole.
La bestia ruggì ancora prima di indietreggiare ancora una volta e di voltarsi, tornando da dove era venuta.
Smisi solo di scavare quando il carrello fu veramente stracolmo.
Ci stavano solo metà delle mie gambe. Iniziai a tirare gli ingranaggi e piano piano riniziò la salita.
Scesi dal carrello dopo un’interminabile periodo che mi sembrò un’intera giornata.
Dall’entrata un fuoco era acceso.
Non lo avevo acceso io.
Lance mi aspettavano all’ingresso e quello che probabilmente era il loro capo iniziò a parlare.
Ci hai risparmiato un po’ di lavoro ragazzo, non so come tu abbia fatto, ma mi piace quello che hai fatto. Ora noi guadagneremo molto e tu, morirai come se l’orso ti avesse ucciso.
Pensi davvero che bastino quattro lance e delle semplici manette per farmi fuori ? davvero ?
Dovevo essere spavaldo, perché altrimenti non sarei sopravvissuto molto a lungo.
Sparlarono tra di loro, poi il loro capo annunciò con voce tonante che mi avrebbero ucciso all’alba e sarei stato un esempio per chiunque si opponeva al suo potere.
Caricarono il carro col mulo al posto mio, e io mi sedetti.
In quel momento non avevo abbastanza forze per sbaragliargli.
Aspettai, era davvero l’unica cosa che potevo fare per poter sopravvivere.
All’alba mi svegliarono bruscamente, ma non mi importò, mi misero in piedi e mi portarono sulla soglia della grotta.
Ero all’interno del mio ambiente e loro non lo sapevano. Così come il mio cosmo mi aveva aiutato a rompere la roccia essendo legato ad esso, ora mi avrebbe aiutato a sconfiggere i miei nemici. Non mi sarebbe servita nessuna tecnica, espansi il cosmo nella terra circostante e questa iniziò a muoversi, prendendo alla sprovvista uno per uno tutti i sicari del bandito.
Solo il capo rimase li imperterrito, impietrito mentre i suoi uomini erano intrappolati nella roccia.
Lo guardai e dissi:
Ti avevo detto che non saresti riuscito a combinare nulla, e che non sapevi contro chi ti mettevi contro.
Quello annuì e qualcosa da lui iniziò a puzzare. Era così spaventato da essersela fatta addosso.
Si spostò da dove ero io e si rintanò prendendo in mano la sua spada, in un palese e stupido atteggiamento di difesa.
Uno spuntone di roccia gliela levò di mano, e lui si accucciò su se stesso, poi disse:
tu devi essere uno di quei mostri che sono arrivati dopo l’apocalisse
No, noi siamo sempre esistiti, e voi siete vissuti nell’ignoranza di noi per secoli ed ere. Noi abbiamo cercato di salvare tutti, almeno noi saint, ma non ci siamo riusciti, mi dispiace per tutti coloro che avete perso, pregherò per loro. La roccia vi libererà tra tre ore circa.
Uscii dalla caverna.
Legai il mulo al carro e iniziai a scendere dalla montagna mentre la giornata lentamente avanzava.
Era davvero difficile sapere cosa sarebbe successo dopo, sicuramente i ladri non si sarebbero mostrati per un bel po’ dato il loro orgoglio perduto.
Arrivai nel pomeriggio tardi dal vecchio, e lasciai la diorite di fronte alla sua porta prima di andarmene.
Comprai il mulo e il carro dal suo vicino e mi diressi verso l’Iron Forge.
Fortunatamente ero bravo a ricordare dove si trovavano i posti, così riuscii velocemente ad arrivare nel cortile di dietro dell’Iron Forge, battei sulla porta d’entrata e dissi:
Sono tornato col materiale richiesto per la riparazione.
Mi scostai dalla porta e aspettai.. -
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Aprì la porta del locale, e portai il materiale all’interno, lasciandolo vicino alla forgia poi mi misi in un angolo li vicino, pronto a carpire ogni minimo rumore, suono e battito che quella ragazza metteva in gioco nella forgiatura della mia armatura.
La Volpetta veniva battuta, scaldata, ribattuta, raffreddata, riscaldata, battuta, raffreddata e ogni gesto era fatto con maestria e forza. Una precisione assoluta usciva fuori dalle mani di quella ragazza e in ogni istante fin dal primo momento in cui aveva iniziato a battere sul materiale avevo notato una cosa molto interessante.
Una forza intorno a lei si dipanava mentre con il martello, le pinze e l’incudine lavorava l’armatura della volpetta. E finalmente iniziai a comprendere la maestria, il perché era considerata così abile dai suoi colleghi e i suoi lavori erano rinomati da tutti in questa città. Era in grado di utilizzare, sebbene ruvidamente il cosmo, aumentando la forza e la precisione dei suoi colpi, e facendolo tutti i giorni avrebbe, a mio parere raggiunto vette davvero alte.
Ci volle parecchio tempo prima che fosse pronta, aspettare non era esattamente nella mia natura, ma mi dedicai a tastare tutti i materiali, mentre con le orecchie ascoltavo i ritmici colpi di martello. Le consistenze diverse, le ruvidità, la porosità degli stessi, ora iniziavo a comprendere meglio. Ognuno aveva una propria funzione, e dovevo scoprire come funzionavano se volevo diventare un fabbro.
La mia concentrazione si ruppe nel momento in cui lei mi chiamò e mi diede in mano il busto di Volpetta.
Brillava di energia, potevo sentirla al semplice tocco. Lacrime sarebbero sgorgate dai miei occhi se non fosse stata troppa la gioia per riaverla splendente e in forma li con me.
La provai addosso. Era come averla indossata per la prima volta. Ruggiva di pura energia. E sentii finalmente con chiarezza tutta la sua forza tornata, rinnovata e ancora profonda e calda.
Non avevo parole che potessero ringraziarla e sinceramente in quel momento ero davvero a bocca asciutta tanto che non riuscì a spiccicare parola se non un semplice:
Grazie
Poi si avvicinò a me e mi propose una sfida, mi disse che c’era del ferro dietro di me e che se avevo prestato attenzione al procedimento che lei aveva usato allora potevo davvero imparare a forgiare qualcosa. Chiese di provare a fare una lama di un pugnale. Noi cavalieri di Athena non possiamo portare armi e lei questo non lo sapeva, però se fossi diventato un fabbro per il grande tempio allora forse avrei potuto fabbricare anche le armi per i nostri soldati, e di sicuro potevano essere migliori di quelle fabbricate comunemente.
Va bene, accetto la tua sfida, sono curioso di provarci.
Ero però più incuriosito dalla frase di dover trattare il metallo con il giusto rispetto.
Ero ancora più tentato dal fatto di poter usare una forgia così ben fornita e capace di produrre oggetti di fattura così splendente.
Presi qualche pezzo di ferro dietro di me e li tastai completamente, lentamente e con attenzione. La loro forma, la loro ruvidezza, tutto ciò che poteva essermi necessario per capire dove dovevo muovermi con gli attrezzi per poter fare un risultato decente, degno almeno dell’utilizzo di quella maestosa forgia e degli strumenti che la fabbro mi aveva generosamente prestato.
Per prima cosa scaldai il metallo, dovevo comprendere quando era la giusta temperatura per poterlo piegare. Ma il primo quadratino si sciolse. Troppo tempo era rimasto sulla brace della forgia. Come potevo evitare che si sciogliesse e capire quando la temperatura era giusta ?
Eppure facevo il procedimento preciso che lei aveva usato. Poi d’un tratto compresi. Ogni materiale fondeva a tempi diversi, e temperature diverse. Ma come capirlo ?
E di nuovo quello che fece lei mi venne in soccorso. Il cosmo. Potevo utilizzare il cosmo per comprendere la temperatura del metallo e sapere quando è pronto per piegarsi al mio volere sotto i colpi del martello. Dovevo anche utilizzare la giusta quantità di cosmo oppure il lavoro sarebbe stato vano.
Lei mi si avvicinò, e capiva che ero veramente perso, e mi spiegò letteralmente cosa dovevo fare accompagnando i miei gesti con i suoi, spiegandomi le movenze giuste che dovevo fare. Ed era davvero strano.
Posi così un altro pezzo di metallo sulla brace ardente, che tenevo viva con carbone, legno e un soffietto alimentato a piede. Era davvero faticoso tenere viva una forgia. E lei lo faceva senza battere ciglio.
Mi concentrai a fondo, lasciando che il mio cosmo pervadesse la forgia, ne carpisse la temperatura, dovevo usarne un solo velo, leggero ma sensibile il giusto. Poi fu il turno degli strumenti e del metallo stesso. Era caldo e il cosmo mi indicava che stava cambiando colore, passando dallo scuro al caldo chiaro. Poi divenne più caldo ancora. Lo levai, e iniziai a batterlo sulla forgia, ma la troppa forza lo fece rompere. Ancora una volta un fallimento. Ma non potevo demoralizzarmi.
Era sparita per dare retta ad un cliente mentre io continuavo nel mio apprendistato.
Lei di sicuro sentiva i colpi sulla forgia e aveva capito i miei insuccessi, ma davvero non mi potevo arrendere per una cosa del genere.
Questa volta la temperatura era leggermente meno della precedente, potevo sentirlo. Ma ancora una volta la forza era troppa e non riuscì a evitare la rottura del materiale.
Poi capì una cosa. La mia paura del fuoco troppo caldo non mi permetteva di arrivare bene a comprendere ne il metallo ne cosa potessi fare in realtà. Mi levai la maschera e affrontai il fuoco della forgia a viso aperto.
Scaldai un’ulteriore pezzo di metallo, poi lo passai sull’incudine e iniziai a batterlo. Prima si assottigliò, questa volta, la forza del cosmo era giusta e mi indicava quanto il colpo faceva, sul metallo e come questo reagiva. Poi si allargò, non troppo, non doveva essere troppo sottile.
Questa volta era di nuovo li, vicino a me ad osservare a commentare ogni gesto, a modificarlo, a cercare di farmi assorbire la tecnica attraverso le parole e i gesti guidati da mano sicura e ferma.
Lo lasciai raffreddare. Presi un altro pezzo di metallo, più duro, simile alla diorite ma diverso, e anche quello mi diede i problemi precedenti. Bisognava azzeccare temperature e forza dei colpi, non bisognava ne essere troppo dolci ne troppo ruvidi e ogni materiale voleva essere trattato in maniera differente, proprio come ogni persona ha il proprio carattere.
Mi spiegò con enorme calma la differenza che ogni materiale aveva cercando di farmi comprendere come io senza vista potevo capire la capacità del materiale e poterlo iniziare a lavorare decentemente.
La parte precedente doveva essere unita a questa, scaldate in momenti uguali ma differenti, poi prese assieme e unite, come due amanti nella notte, pronte a non lasciarsi mai, eppure il fallimento mi attendeva all’angolo. Non fu stavolta ne la temperatura ne la battitura il problema, ma fu la tempratura, e il metallo si sfasciò in pezzi.
Si doveva ricominciare mentre il giorno iniziava ad avanzare ancora inesorabile.
Era davvero difficile fare il fabbro, e io che ero principiante sudavo ancora di più.
Il nuovo tentativo mi vedeva alle prese sempre con i due materiali, scaldati e lavorati in maniera e tempistiche differenti l’uno dall’altro con il fabbro che correggeva a voce e non più con i gesti e l’accompagnamento quello che sbagliavo, indicandomi la via, mostrandomi un sentiero che non mi pesava, ma anzi mi piaceva e mi avrebbe reso capace di fare un qualcosa di utile per tutti i miei fratelli d’arme.
Questa volta i materiali iniziarono ad attecchire, ma ancora non era pronto, non era assolutamente pronto. Il processo era davvero lungo e complesso. Molti diversi materiali dovevano ancora essere messi assieme, quelli più duttili, quelli più duri, quelli più malleabili, quelli più resistenti. Quello che avevo ora in fondo, e che dopo che si era raffreddato, tenevo tra le mie mani era solo l’anima di quella lama di pugnale che lei mi aveva chiesto di forgiare.
Mentre la osservava e commentava il lento e poco lavoro che avevo fatto in quella rimanente giornata, avevo capito la durezza di quel lavoro, ma la soddisfazione del farlo, e mentre con parole mi spiegava ancora cosa dovevo fare, io tastavo il materiale per comprendere dove e come avrei dovuto lavorare ancora.
Arrivò l’ora della cena e un pasto frugale fu servito da lei, nella stessa stanza dove stavamo lavorando fino a poco prima. Mi lavai il viso al pozzo vicino la forgia prima di rientrare e cenare con lei, ringraziandola dell’ospitalità.
Uscii a prendere della legna e del carbone dopo la cena, e riaccesi la forgia.
Avrei lavorato tutta la notte se fosse stato necessario.
Sapevo quello che dovevo fare. Preparai altre due anime di pugnale, così con lo stesso procedimento che prima avevo fatto, poi passai alla creazione della prima parte esterna.
Fu lungo capire come potevo appiattire e inserire due altre lastre sottili di materiale per formare la prima vera forma di lama del pugnale.
Due dei tre tentativi andarono a vuoto, sebbene il secondo aveva retto fino a quando non lo riscaldai nuovamente per inserire l’elemento successivo.
Iniziavo davvero a sentire la stanchezza sulle spalle. Decisi così di andare a dormire.
Mi svegliai presto. Avevo dormito fuori dalla porta, in fondo non era nemmeno la mia casa quella e il calore del mulo fu davvero piacevole. Lei però era già al lavoro.
Ripresi in mano gli strumenti solo nel pomeriggio, dopo che lei ebbe finito il suo lavoro. L’avevo sentita battere e scaldare metallo tutto il giorno mentre con chiarezza e precisione mi continuava a spiegare cosa faceva, sapendo che quello era l’unico modo per potermi fare capire le cose. Imparai anche a pulire il metallo dalle imperfezioni e dalle impurità.
Piano piano l’anima del pugnale iniziò a prendere la forma di una vera lama, vari e lunghi furono ancora i passaggi che mi separavano dalla sua completezza, ma si avanzava mentre ancora una notte passava e io mi ritrovavo a dormire e a pensare sotto un bellissimo cielo stellato, nella stalla di un mulo. Stalla che avevo costruito la mattina utilizzando il cosmo e la terra circostante.
Ancora un giorno era passato, e sinceramente non sapevo quanti ce ne sarebbero voluti per poter arrivare ad un risultato decente che mi sodisfasse pienamente. Quel pomeriggio riuscii a completare la mia prima lama, e ancora nuove cose da imparare e memorizzare mi furono spiegate dal fabbro che in questi giorni avevo davvero imparato ad apprezzare per la costanza e l’impegno che metteva nel suo lavoro. Questa volta mi toccò usare oggetti come mole e lime, che mai avevo preso in mano in vita mia, eppure anche qui bastava seguire i consigli e le mani sapienti che mi guidavano passo passo, ed un briciolo di cosmo, per poter effettuare un lavoro che dava a quel pugnale la sua forma finale e letale.
Eppure non ero sodisfatto del lavoro. Lei mi guardò stranito quando le rivelai la cosa.
Dovevo essere contento di essere riuscito a creare qualcosa dopo solo tre giorni che lavoravo li.
Poteva non essere bellissimo o efficentissimo, ma certamente era un oggetto da me creato. Ogni oggetto per lei era un’opera d’arte un figlio che bisognava custodire finchè la persona che lo amava veramente non fosse venuto a prenderlo. Stavo per buttarlo via quando glielo posai davanti e le chiesi di accettarlo. Non capì la sua espressione, ma so che lo mise in una mensola vicina ad oggetti che lei mi spiegò che non avrebbe venduto mai.
Ci vollero altri quattro giorni, prima di ottenere un risultato che mi piaceva particolarmente, non era la mia prima lama, ma certamente questa poteva aiutare qualche persona durante un viaggio, e quindi poter salvare la vita di qualcheduno, ecco cosa pensavo.
La prima lama forgiata ora giaceva in un luogo dove sarebbe stata protetta. Ma il primo mio davvero soddisfacente lavoro si stava concludendo. L’ultima fase fu quella della pulitura. Non mi era stata ancora spiegata, ma non era difficile, sebbene richiedesse molta maestria per evitare di farsi male con la lama. Venne poi il turno di imparare a fare un fodero col puntale metallico, e il primo si rivelò un disastro, ma per fortuna non avevo ancora messo mano al cuoio.
Altri due ulteriori passaggi mi vennero spiegati. Le incisioni e l’incastonamento.
Mi cimentai solo nel primo, il secondo era ancora troppo difficile per me, ma appresi comunque la tecnica. Sul pugnale incisi: per colui che unisce la nuova alla vecchia via
E poi lo stesso fu messo in vendita nel negozio della forgia che dava sulla via. Fu messo li ormai l’ottavo giorno della mia permanenza.. -
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